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“L’Acrobata” (6/99 anni)

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Carissimi amici bambini, la storia che racconto l’ho letta coi miei occhi da un libro che ho trovato ieri in farmacia. Lo so, adesso voi  con la vocina cantilenante mi direte: “ma non si troooovano libri in farmacia”. Mi dispiace contraddirvi ma questo libro che anche voi state leggendo io l’ho trovato proprio lì.
Ieri pomeriggio tra le quattro e mezza e le cinque sono andato alla farmacia sotto casa a prendere lo sciroppo per la tosse per mia nonna Eustemia, che c’ha sempre mal di gola, e  se vado a farle la spesa mi dà la mancia.
Beh, ieri pomeriggio, dicevo,  sono arrivato in farmacia e, dato che c’era una lunga coda di persone che aspettavano davanti a me, ho curiosato un poco in giro ed ho scoperto che nelle farmacie ci sono cose mooolto curiose e un po’ strane: in uno scaffale ho trovato una scatola di pastiglie contro la poca voglia di andare a scuola, in un altro uno sciroppo per chi non si ricorda la tabellina del 7 ed uno per chi non sa allacciarsi le scarpe, in una vetrina uno strano dentifricio alla panna montata e in una mensola una pomata per starnutire con le orecchie. In mezzo a tutta quello strano miscuglio di stranezze c’era questo libro tutto spiegazzato, con le pagine sbiadite dal passare del tempo, e della polvere,  sulle parole e sui disegni. Il titolo era “L’acrobata” e l’aveva scritto un certo Taddeus Spernacchioni.
Visto che c’era ancora tanta gente in fila davanti al banco della farmacia, visto che comunque avrei dovuto aspettare un bel pezzo, visto che quel libro misterioso mi incuriosiva molto, visto che io quando sono incuriosito non capisco più niente….
Insomma per farla breve ho iniziato a leggere dimenticandomi totalmeeeeente dello sciroppo, della gola, della mancia e di mia nonna!

Quello era proprio un libro speciale.

Parlava di un certo bambino e della sua strana storia.
Quel bimbo si chiamava Paco, ma tutti lo chiamavano “Pachito tira drito” perché se si metteva in testa una cosa nessuno poteva fargli cambiare idea.
Abitava in una nave che viaggiava da tempo lungo l’oceano Pacifico.
Il suo papà, che si chiamava Pancho (di nome e di fatto), era il capitano di quell’imbarcazione. Era partito dieci  anni prima da Napoli per raggiungere il porto di Bombay in India, ma nella fretta si era dimenticato di portare con sé le carte navali e da allora continuava a sbagliare strada: una volta arrivava ad Istanbul, un’altra volta in Grecia, una volta in Egitto, e così via.
In una di queste soste sbagliate, Pancho aveva incontrato Pepita, una ragazza giovane e bellissima. I due si erano subito sposati e dopo appena un anno era nato il nostro Paco.
Pachito era nato in una notte di bufera al largo di Capo Blanco ed il fatto che fosse nato proprio lì  è molto importante: dice infatti la leggenda che “chi viene al mondo a Capo Blanco o è speciale oppure è stanco!”.
Fin da piccolo appunto, il nostro Paco (che era tutto fuorché stanco) possedeva un dono specialissimo: era in grado infatti di parlare la lingua di ogni animale. Con le scimmie parlava lo scimmiese, con la mosca il moschese, con il ragno il ragnese, con la balena il balenese.
Passava le giornate a chiacchierare con un delfino, a scherzare con una zanzara o a scambiarsi barzellette con un criceto (che si sa sono grandissimi conoscitori di barzellette e di proverbi)
Un giorno, a Pechino, durante una delle soste del lungo viaggio del padre, Pachito andò con i suoi genitori ad uno spettacolo del circo.
Il circo Lafolalonga, così chiamato dal nome del suo fondatore (Diomede Lafolalonga appunto), era il circo con più animali nel mondo: dal coccodrillo brillo al cammello con l’ombrello, dal leone col maglione alla mosca matrioska. Inutile dire che con tutti quegli animali il nostro Pachito non stava più nella pelle dalla voglia che lo spettacolo iniziasse e lo spettacolo iniziò subito con una parata di scimmie del Polo nord e di pinguini del deserto che giocavano a tamburello e si rincorrevano a vicenda.
In quello spettacolo Pachito vide gli animali più strani, ma la cosa che lo colpì di più e che gli cambiò la vita per gli anni a venire fu l’ultima esibizione della serata: spente quasi tutte le luci venne tirato un filo sottilissimo attraverso tutta la pista del circo, subito si sentì un rullare di tamburi che preannunciavano l’arrivo di qualcosa di veramente speciale. Si presentò in pista un vecchietto magro ed ossuto con una barbetta bianca e folta, piccolo di statura ed ormai quasi senza capelli. Tra lo stupore generale con un balzo si arrampico in alto fino a dove era stato appeso il filo e senza esitazioni ci saltò sopra.
Su quel filo tanto sottile da sembrare invisibile il vecchio acrobata iniziò a camminare prima, a saltellare poi e successivamente a roteare, danzare, tenersi in equilibrio sopra una mano, sull’altra e addirittura sul naso. Finito l’esercizio, come era salito, l’uomo scese dal filo con un agile balzo e ringraziò il pubblico che nel frattempo applaudiva fragoroso come se fosse allo stadio il giorno della partita.
Pachito nel frattempo era rimasto impietrito e paralizzato: non aveva mai visto un acrobata in vita sua e quel suo camminare a mezz’aria  quasi facendo il solletico al cielo l’aveva rapito e meravigliato come mai nulla aveva fatto prima.
Disse di slancio “voglio anch’io fare l’acrobata!”. La mamma e il papà sentendo queste parole si misero le mani nei capelli perché ricordavano bene che il loro “Pachito tira drito”, una volta presa una decisione, non avrebbe cambiato idea molto facilmente. Sperando che potesse aiutarli nel far ragionare il loro figlio testardo, portarono Pachito ad incontrare il vecchio acrobata direttamente nella sua roulotte.
Quell’uomo si chiamava Fausto Sodilacorda, si diceva che moltissimi anni prima fosse stato acrobata di corte del gran sultano d’Equinozia, inoltre era stato istruttore degli acrobati del circo reale del granduca di Svirgola oltre, naturalmente ad essere l’indiscusso più grande acrobata di sempre.
Quando vide Pachito ed i suoi genitori non poté trattenere un sussulto di gioia, prese in braccio il bambino e disse contento: “sono molto vecchio e stanco e da anni volevo ritirarmi; non l’ho mai fatto perché mai ho trovato un degno erede che prendesse il mio posto. Ora però sono contento perché ti leggo negli occhi e nelle orecchie un destino certo: tu un giorno diventerai il più grande acrobata del mondo!”
I genitori di Pachito stavano per mettersi a piangere, avrebbero voluto strangolare il vecchio acrobata che invece di sconsigliare il loro piccolo e testardo figliolo non aveva fatto altro che incoraggiarlo ulteriormente. Sapendo che a questo punto nulla avrebbe fermato il buon Paco dal suo intento chiesero al grande maestro di insegnare al bimbo l’arte dello stare appesi al filo.
Il buon Fausto Sodilacorda accettò e partì assieme a  questa strana famiglia sulla nave di Pancho col proposito di trasmettere al giovane allievo tutto il suo sapere.
Subito tra i due alberi che reggevano le vele della nave fu teso un sottile filo: “Questo filo, disse il maestro, diverrà la tua seconda casa!”
Il periodo dell’addestramento non fu facile per Pachito; gli esercizi del vecchio acrobata erano ogni giorno più difficili: doveva saltare la corda, fare capriole e salti mortali, doveva camminare diritto ad occhi chiusi, un giorno doveva rimanere sopra una gamba sola, un altro giorno doveva restare in equilibrio su una mano, un’altra volta ancora su un’orecchia o sul naso.
Bisogna ammettere che il nostro piccolo Paco ce la metteva tutta, ma proprio non riusciva ad imparare tutte le cose che il grande maestro gli insegnava.
Un giorno, tutto sconsolato, parlando con uno dei tanti pesci che vedeva dal ponte della nave disse: “Amico pesce come vorrei che per me fosse facile fare l’acrobata come lo è per te nuotare!” Il pesce lo stava a sentire e cercava di rincuorarlo con parole di conforto: “non ti abbattere caro bambino, vedrai che prima o poi riuscirai ad ottenere ciò che vuoi”.
Mentre i due si confidavano a vicenda passava da quelle parti il vecchio Fausto Sodilacorda che, vedendo che Pachito sapeva parlare agli animali, ebbe una idea a dir poco grandiosa:
“Ho trovato”, disse “saranno gli animali ad insegnarti come si fa!”
Da quel giorno ad ogni sosta, nei porti dei più svariati paesi del mondo, veniva caricato sulla nave un differente animale: dall’Egitto, arrivò a bordo una scimmietta, dall’Africa nera un leone, dalla Malesia una tigre bianca, dall’Inghilterra un topolino, dalla Florida due fenicotteri e dal mare aperto i delfini e i pesci volanti.
Tutti questi animali ogni giorno trasmettevano al piccolo Pachito le doti più importanti per diventare acrobata.
Dalla scimmietta Paco apprese come si fanno le acrobazie: per giorni interi volteggiò insieme a lei facendo salti mortali tra le vele e l’albero della nave.
Dai pesci volanti e dal delfino imparò l’agilità e la leggerezza, e con loro per una settimana nuotò, si tuffò, galleggiò, si immerse e sbucò fuori dall’acqua con salti sempre più alti e leggiadri.
Il topolino invece gli insegnò ad  essere rapido e dalla tigre imparò la forza: insieme a loro infatti corse per un mese su e giù per tutta la nave, dal ponte fino in coperta, tra le casse della stiva, sulle funi , sulle corde e sulla catena dell’ancora. Inoltre era diventato così forte che ora riusciva a pilotare il timone della nave da solo come faceva suo padre.
Infine gli furono trasmessi il coraggio dal leone e dal fenicottero, naturalmente, l’eleganza.
Alla fine di questo addestramento Pachito era così bravo che riusciva a volteggiare sul filo teso anche nonostante il dondolare della nave in mezzo alle onde del mare.
Ora a Pachito mancava solamente un circo in cui potersi esibire. Questo problema però era davvero molto serio e complicato da risolvere: chi avrebbe preso nel suo circo un bambino così piccolo e, soprattutto, in un circo normale Pachito avrebbe dovuto girare per il mondo lasciando la nave e, cosa assai più grave, il suo papà e la sua mamma.
Per giorni se ne stette tutto triste e sconsolato sul filo teso tra le vele della nave e come lui anche i suoi genitori ed il vecchio acrobata se ne stavano zitti e pensierosi.
Un bel mattino di sole, un gabbiano che stava svolazzando in quei paraggi si fermò a riposare sul ponte della nave. Non era la prima volta che ci si fermava sopra, infatti aveva spesso incontrato la famiglia di Paco e con lui aveva si era divertito a chiacchierare in più di un’occasione. Quel giorno però si stupì nel vedere che invece della solita aria di festa, che tante volte aveva trovato, a bordo c’erano solo tristezza e musi lunghi. Chiese preoccupato se fosse successo qualcosa e Pachito gli spiegò che tutti erano tristi perché ora, dopo tante fatiche, lui era diventato un acrobata, ma senza circo.
Il gabbiano rise e disse: “Sono anni che navigate in giro per il mondo senza arrivare mai alla vostra meta, trasformate la nave in un circo galleggiante e così resterete sempre insieme!”
Questa era davvero l’idea del secolo!
Un circo galleggiante che si spostava in giro per il mondo, dove avrebbero potuto esibirsi gli animali che erano già a bordo e dove l’attrazione principale sarebbe stata il Piccolo Grande  Acrobata Pachito!
Dopo giorni di preparativi la nave fu coperta da un tendone e sul ponte furono sistemate sedie in abbondanza.
Il primo spettacolo si tenne al porto di Zanzibar in una calda serata di aprile.
La mamma vendeva i biglietti ed il papà faceva il presentatore.
Sulla barca salirono tantissimi spettatori incuriositi dalla notizia di questo giovane acrobata che aveva imparato la sua arte direttamente dagli animali.
Questa notizia doveva aver fatto davvero colpo perché dalle foreste, dal cielo e dal mare oltre ai normali spettatori giunse a bordo anche una moltitudine di animali per vedere quel piccolo fenomeno. Ognuno nel suo linguaggio diceva forte: “Viva viva il buon Pachito, il nostro acrobata preferito”.
Nella penombra di un solo riflettore apparve Paco concentrato e serio.
Salì con un balzo sull’albero della nave cui era legato un capo della fune, inizio a toccarla con un piede, poi a piccoli passi a camminarci sopra mentre tutto il pubblico, umano ed animale, tratteneva il fiato. Un attimo di silenzio generale poi all’improvviso….una capriola, poi due e subito un salto mortale. Una piroetta, un balzo in aria per atterrare su un gomito, due passi avanti e tre indietro, quattro giravolte ed un piccolo balletto.
Gli spettatori rimanevano a bocca aperta: sembrava che il buon Pachito li avesse rapiti e portati tutti quanti lassù in alto con lui, sopra quel sottilissimo filo teso. Lo seguivano tutti, con gli occhi che non potevano staccarsi, volteggiare leggero come una libellula, elegante come un fenicottero ed agile come un topolino. Poi all’improvviso un imprevisto: all’ultimo atterraggio il filo smise di sostenere il corpo di Paco e si spezzò in due parti!
Tutto il pubblico rimase impietrito e sconvolto, muto di fronte a quella sciagura inaspettata. Il papà e la mamma del piccolo artista non riuscirono nemmeno ad urlare per lo spavento. Il volto del vecchio acrobata era rimasto impassibile quando…
Prima ancora di cadere Pachito afferrò di scatto i due lembi spezzati e con una giravolta su se stesso li riannodò ritornando ben saldo sul filo ancora teso.
Applausi a non finire, grida di gioia e ammirazione, lacrime e balzi sulle sedie furono le reazioni di tutta la gente presente a quel prodigio.
Con calma Pachito ridiscese dalla fune con una piroetta. Subito i suoi genitori corsero ad abbracciarlo. Sollevandolo sopra di sé il vecchio maestro disse infine: “ecco a voi il mio erede: Pachito, il più grande acrobata del mondo!”.
Da quel giorno il circo galleggiante girò per i porti di tutto il mondo portando a tutti lo spettacolo mozzafiato del piccolo Pachito. Ogni sera la nave si riempiva di persone ed animali che accorrevano da ogni parte per vedere la grande attrazione.
Non ci credereste mai ma dopo due anni giunsero finalmente anche al porto di Bombay, in India, dove da anni il povero Pancho cercava di arrivare sempre senza successo. Per l’occasione fecero uno spettacolo speciale in cui insieme al giovane allievo si esibì per l’ultima volta nella sua carriera anche il vecchio maestro Fausto Sodilacorda.
Ancora oggi nei porti di tutto il mondo il nostro Pachito continua a volteggiare e a meravigliare tutti quanti, uomini o animali, vadano ai suoi spettacoli.

Ecco questo è quanto io ho letto in quel libro in farmacia. Quella storia mi ha talmente rapito che non mi sono nemmeno accorto che tutta la gente che mi precedeva in fila era già andata via da un pezzo.
Alla fine invece di comprare lo sciroppo ho comprato il libro e, la sera l’ho letto anche a mia nonna Eustemia: non le è passato il mal di gola, ma in compenso si è divertita molto.
A proposito: durante la notte l’ho vista in giardino in equilibrio sul filo dei panni stesi che diceva “anche io l’acrobata, anche io l’acrobata!”.
Mah, questo è uno dei tanti poteri delle fiabe!
Vi abbraccio tutti.

FINE